L'importanza dell'addestramento
Articolo tratto da: Studio Fonzar Blog
La prevenzione degli infortuni sul lavoro si ottiene di più con l’addestramento che con la formazione generale e specifica.
Il legislatore Italiano nell’ambito della normativa relativa alla sicurezza sul lavoro ha dato negli ultimi anni moltissima enfasi alla formazione, partendo dal presupposto che la formazione è una efficace barriera per prevenire incidenti e infortuni sul lavoro (nonché le malattie professionali).
“«formazione»: processo educativo attraverso il quale trasferire ai lavoratori ed agli altri soggetti del sistema di prevenzione e protezione aziendale conoscenze e procedure utili alla acquisizione di competenze per lo svolgimento in sicurezza dei rispettivi compiti in azienda e alla identificazione, alla riduzione e alla gestione dei rischi;”
Il concetto di “processo” educativo vorrebbe intendere una attività svolta con carattere di continuità. Qualcosa di diverso rispetto a quanto indicato negli accordi Stato Regioni sulla formazione basati su una formazione iniziale (parte generale e rischi specifici) più un momento di aggiornamento da svolgersi al massimo entro cinque anni di minimo 6 ore.
Il concetto di “acquisizione di competenze per svolgimento in sicurezza dei rispettivi compiti in azienda e alla identificazione, riduzione e gestione dei rischi”, presuppone che la formazione, da sola, sia in grado di governare il comportamento futuro del lavoratore, mettendolo in sicurezza.
È ormai universamente noto che il problema degli incidenti e infortuni sul lavoro è un problema di natura prevalentemente comportamentale. Molti studi concordano nell’individuare la causa radice degli infortuni nel comportamento umano secondo percentuali che a seconda degli studi oscillano dal 50% al 94%.
Ma la formazione non determina il comportamento umano.
Supponiamo che un carrellista frequenti il miglior corso disponibile, con il miglior docente e ne esca “formato” in modo efficace.
Inseriamolo in un magazzino di un interporto ove in un giorno vengono caricati e scaricati centinaia di camion con ritmi molto spinti. Supponiamo anche che il responsabile gerarchico del nostro carrellista debba rispettare degli obiettivi di produttività sui quali ci sono importanti incentivi economici.
Al nostro carrellista “formato” è stato sicuramente insegnato di moderare la velocità, soprattutto in curva, incroci, di mettere sempre la cintura ecc. Ma non appena lo farà, rispettando le regole che ha appreso, sarà pesantemente richiamato dal responsabile ad aumentare i propri ritmi di lavoro senza perdere tempo in inutili regole di sicurezza.
È evidente che, nonostante la formazione appresa, il carrellista si adeguerà a quanto imposto dall’esterno. In pratica il suo comportamento si adeguerà alle conseguenze ricevute, ovvero agli stimoli ambientali del contesto in cui opera attivando comportamenti a rischio di cui è perfettamente cosciente.
Facciamo un altro esempio: in una azienda sgangherata, che non ha fatto nulla di formazione, c’è un giudizioso capo magazziniere (leggi “preposto”) che, senza alcun corso fatto dall’azienda, segue amorevolmente i propri sottoposti, mostrando loro come si guida un carrello, l’uso delle cinture di sicurezza, le manovre da fare, parlandone in pausa caffè in modo naturale e appassionato, ascoltando le varie problematiche, dando una bella pacca sulla spalla ai più attenti e proattivi, organizzando le attività in modo che le corse e l’impegno sia razionalizzato tra i lavoratori e, anche se celere, non frettoloso. Come vi attendete il comportamento dei “suoi carrellisti”?
In pratica la formazione (da sola) non influisce direttamente sul comportamento. Il comportamento è sotto il controllo delle “conseguenze ricevute”.
Se non si è ancora convinti di questo basta pensare agli incidenti stradali, commessi da cittadini che sono tutti “formati” e “abilitati”, che sanno benissimo l’elevato rischio che corrono in strada e ciononostante mentre guidano messaggiano sullo smartphone o telefonano sapendo benissimo che si tratta di comportamenti pericolosi, oltre che vietati. In questo caso il problema non è mancata formazione, ma il fatto che i comportamenti a rischio sono rinforzati da conseguenze ambientali immediate piacevoli e che derivano dall’uso degli smartphone.